Di Enrico Preziosi, industriale del giocattolo e pluriproprietario di club calcistici, si narra che il motto al quale si attenne per tutta la vita fosse: <Uno-due-tre... casino!>. Sempre vi si uniformò; un po' perché detestava il piatto esistere, molto per incontenibile libido rissaiola. Per lui, ogni pretesto era buono per prendere parte; anche a costo di contraddirsi, e schierarsi sul versante che fino a un minuto prima aveva preso a bordate.
In fondo, gli piaceva smentirsi. Lo faceva sentire vivo, e gli faceva sembrare che il mondo girasse con dei cambi di ritmo che solo lui era in grado d'imporre. Fu così che appoggiò la campagna di un altro multiproprietario dell'epoca (tale Luciano Gaucci), per il ripescaggio in serie B di un club di cui quello era proprietario, il Catania; dimenticando che soltanto pochi giorni prima egli stesso, da padrone del Genoa, aveva promosso e vinto assieme a altri 7 club il ricorso a un organo federale che spedì in C lo stesso Catania.
E che dire di quella volta che i club di B disertarono le gare di Coppa Italia, e i due club del commendator Enrico si comportarono in modo opposto? Il Genoa presentandosi in campo per la sua gara, il Como disertando. E lui, capace di far coincidere gli opposti, a dichiarare che la protesta era sbagliata e che perciò bene aveva fatto il Genoa a respingerla; ma che, al tempo stesso, il Como aveva il dovere di scioperare per una questione di coerenza. Qualità che da quel giorno, con buona pace del vecchio saggio, smise di essere la virtù degli imbecilli.
Del resto, mai il cavalier Enrico nascose il gusto della provocazione. Come quando, a causa dell'irrisolto problema della proprietà dei due club, la Lega calcio dovette ri-sorteggiare i gironi di Coppa Italia perché Como e Genoa erano finiti nello stesso raggruppamento. E lui, invece di sentirsi in imbarazzo per l'inghippo, dichiarò che quella era l'ennesima prova d'inefficienza del calcio italiano. Il che, per quei tempi, era un po' come immaginare che un evasore fiscale lamentasse gl'inefficaci controlli della guardia di finanza. A ogni modo, giusto per non perdere le buone abitudini, egli acquistò anche il 35% di un club, il Modena, col quale fino a pochi mesi prima era stato in guerra. In cambio offrì 5 giocatori del Como. E non è dato sapere se di questi ultimi fosse stato valutato il cartellino o il peso.
Su tutti, un pregio aveva il commendator Enrico: la diplomazia. Perché va bene la polemica, ma ogni soluzione andava ricercata per evitare che scaturisse guerra. Cosa lui, ligio ai sacri dettami di Sun Zu e Clausewitz, sapeva dovesse essere null'altro che una prosecuzione del bordello con altri mezzi. Perciò maturò una vocazione per l'undestatement che lo portava a arrotare il mento modiglianesco e a sfoderare la ruspante cadenza irpina per rilasciare pacate dichiarazioni del tipo: <A capo del nostro calcio c'è solo gentaglia>; <Quell'arbitro dovrebbe andare a dirigere in Africa>. Fu questo senso della responsabilità a fare del cavalier Preziosi Enrico un degno rappresentante dei suoi tempi. E erano proprio altri tempi, garantiamo.
Pippo Russo