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IL CORAGGIO DELLE IDEE

Ultimo Aggiornamento: 10/10/2014 14:16
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carrrma
[Non Registrato]
08/10/2014 12:18

Re: Re: sempre i soliti juventini
[POSTQUOTE][QUOTE:127123803=forza roma, 08/10/2014 10:30]

E' vero mi ricordo anche quando Sentimenti IV giocò con un unghia incarnita e quando il mitico Sivori con un pelo nel naso che gli dava fastidio fece una rovesciata magnifica e segno un gol meraviglioso. Mi ricordo anche quando Platini esultò per la Coppa dei Campioni vinta all'HISEL, mi scuso se ho scritto male il nome dello stadio, contro il Liverpool nonostante ci fossero per terra ancora 36 esseri umani deceduti, mi ricordo anche che l'altra coppa dei campioni l'avete vinta ai rigori, mi ricordo anche del torto subito dal Vs. attuale Mister Allegri, quando era allenatore del Milan, a cui fu annullato un gol dentro di un metro con il guardalinee che guardava, ci sono foto inequivocabili, quanti ricordi ne potrei citare a decine ma non lo voglio fare, perchè sono romano e romanista e noi nella sofferenza ci rafforziamo ma sappiamo anche ridere dei ns. difetti cosa che non sa fare la mitica Rubentus, forse perchè conosce solo la malafede delle vittorie ottenute con strafottenza e utilizzando il potere econimico di cui è stata ed è ancora tutt'ora a disposizione.
Le ricordo che la Roma negli ultimi 15 anni mi sembra sia arrivata seconda per 6/7 volte.
Fatevi un esame di coscenza...
[/QUOTE][/POSTQUOTE]

Intervistato dal Tuttosport, Piero Calabrò, magistrato e tifoso juventino, rinfresca la memoria al capitano della Roma Francesco Totti, dopo le dichiarazioni rilasciate domenica sera ("La Juventus deve giocare un campionato a parte tanto la fanno sempre vincere. Arriveremo sempre scindi così"). "Negli ultimi quindici anni della sua carriera, infatti, è arrivato secondo solo una volta" di legge sul sito internet del quotidiano torinese, "l'anno scorso, quando la sua Roma ha subito un distacco di 17 punti. E quando dice che nel dubbio gli arbitri danno sempre ragione alla Juventus, dovrebbe ricordare che l'unico episodio dubbio della scorsa stagione è stato il gol di Peluso all'Olimpico in Coppa Italia, annullato contro le leggi della fisica. Nonostante quella vittoria, tuttavia, la Roma non è riuscita a vincere la Coppa Italia. Per altro" continua Calabrò, "la Roma è arrivata seconda due volte, con Spalletti e Ranieri in panchina, ma prima non era la Juventus, bensì l'Inter. Infine Totti dovrebbe ben ricordare che nel 2001 fu la Juve ad arrivare seconda dietro la Roma e che decisiva fu proprio Juve-Roma finita 2-2. In quella partita la Juve vinceva 2-0 e Capello sostituì proprio Totti con il giapponese Nakata, decisivo per il 2-2 finale. Fino a qualche giorno prima, Nakata non sarebbe potuto entrare, ma la Figc aveva cambiato le regole sugli extrcomunitari durante il campionato, favorendo la Roma".
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Roma giallorossa è attonita, shoccata, il giorno dopo gli ennesimi «fatti.....C’è chi tace, in lutto. Chi ammette: adesso abbiamo esagerato. Chi intigna: quell’arbitro è un mascalzone, un provocatore, Immagini che fanno il giro del mondo, che rovinano un’«immagine» sapientemente costruita grazie ai tanti che – per mestiere ma anche per passione – cercano da tempo di confezionarla in positivo. Ma perché tutto questo? Come è potuto succedere, come può succedere? Nulla è solo frutto del caso, soprattutto quando gli eventi si susseguono formando una catena che si allunga nel tempo. E allora proviamo a ragionare, proviamo a capire cosa c’è nel Dna e nella storia, recente e meno recente, della squadra giallorossa.
Solitamente le squadre di calcio sono nate e nascono perché, appunto, c’è gente che ha voglia di giocare a calcio. La Roma no. L’AS Roma nasce per «rappresentare» una città, la sua cultura e la sua identità. Il progetto aveva appunto questo obiettivo: una città, una squadra. Alla Lazio e ai laziali che, rispetto alle altre tre squadre, ebbero la forza per poter dire no, il ruolo dei reprobi, dei refrattari, degli Altri per antonomasia. Non più «gens romana», il copione non prevede che all’interno dell’Urbe possano esserci pluralismo, articolazioni, differenze.
Nel corso degli anni l’industria culturale – che proprio a Roma ha il suo centro – assorbe e amplifica il progetto. L’AS Roma diviene sempre più Roma tout court. I romanisti sono molti (tre tifoserie su quattro unificate, appunto, nel 1927), la massa dei tifosi fa da volano. I film (da Bonnard ad Alberto Sordi ai Vanzina, passando per molti altri), la radio (Orazio Pennacchioni) e le radio (ma quante sono quelle che «usano» il calcio, nella Capitale, anche per fini direttamente o indirettamente politici, quasi sempre di destra?), la tv e le tv: tutti convergono sempre più nell’esaltare il mito-Roma e nel creare il prodotto-Roma. Ha fatto impressione, poche sere fa, sentire Giulio Andreotti in televisione ripetere quasi alla lettera quanto Sordi diceva proprio a lui, nel film Il tassinaro (1983), occasione per una comparsata ammiccante di don Giulio: dopo decenni lo scudetto (quello del 1983, appunto) era tornato a Roma! A Roma, come se la Lazio, che lo aveva vinto solo nove anni prima, non esistesse…
In questa tifoseria già gonfia di orgoglio, celebrata e autocelebrativa, ma a lungo scarsa di vittorie, i trionfi di Cragnotti hanno avuto l’effetto di un elettroshock rivitalizzante: nel 2001 anche la Roma, anzi «Roma», vince. I «gladiatori» tornano, l’Urbe comanda, ecc. La stampa sguazza, le tirature salgono: i tifosi al Circo Massimo (non per i gladiatori, ma per il celebre spettacolo che «non proseguisce») sono – nei titoli, negli articoli – 500mila, un milione, due milioni. L’orgia mediatica pare inarrestabile. Persino questo giornale (vogliamo fare un po’ di sana autocritica?) parla di «mutazione antropologica» (de che?), a proposito delle nuove «radiose giornate» dei festeggiamenti; ma tutti i giornali, le tv, le radio divengono un coro senza tregua. L’identità incrocia il mercato: compra la maglietta, non per andare allo stadio ma per indossarla tutti i giorni. Guarda la pay-tv, abbonati a Roma Channel (una struttura in gran parte gentile omaggio della Rai, cioè di noi tutti). Compra e appendi in macchina il pupazzo giallorosso. Compra le stoviglie della Roma, la sveglia della Roma, il caffè della Roma, il casco della Roma, la credit card della Roma. È degli ultimi giorni l’ultima chicca: in un paese già tristemente noto per essere l’unico al mondo in cui escono ben tre quotidiani sportivi, ora c’è un quotidiano (12 pagine!) rivolto solo ai tifosi della Roma che parla solo della Roma. Nel suo entourage anche alcuni «bei nomi» di uomini delle professioni e dell’intelligenza, per i quali quel giornale è un ninnolo, il secondo o terzo o quarto o quinto quotidiano della mazzetta giornaliera, ma che non si rendono conto del danno che fanno nel momento in cui tanta gente comune invece di comprare un quotidiano qualsiasi che anche parla del mondo e dei conflitti che lo attraversano, compra da qualche giorno solo il quotidiano che parla solo della Roma…
L’ipertrofismo identitario del tifoso romanista, la sopravalutazione di sé e della sua squadra, il suo vittimismo, dunque, non possono che crescere a dismisura, blanditi, aizzati, inturgiditi: la Roma è sempre e comunque uno squadrone, non può (ma perché? chi lo stabilisce?) vendere i «suoi» campioni, deve comunque stare «lassù», altrimenti fioccano, ridicole ancor più che vergognose, le interrogazioni parlamentari (ma non c’hanno proprie niente di serio da fare…). Totti è il più grande giocatore del mondo, Cassano è il secondo più grande giocatore del mondo, l’uno è paragonato a Pelè, l’altro a Maradona. De Rossi è il pallone d’oro di domani, per dopodomani già s’intravede Aquilani… Ergo, se gli scudetti, le coppe e i palloni d’oro non arrivano, è colpa certo di un Complotto! Non è vero che in campo Totti è sempre sopra le righe e spesso gli vengono risparmiate le due ammonizioni a partita che meriterebbe. Non è vero (ora inizia a essere evidente) che Cassano è un caso così grave di fronte al quale al tedesco Voeller, poverino, non resta che invocare inutilmente «disciplina» (c’aveva provato anche Capello, ma la Società era stata magnanima…). E che forse vuole andare via, a fare gol e danni a Milano o a Madrid. Non si può scrivere che la squadra e la società sono fortemente ridimensionate, che gli schiaffoni sul mercato estivo sono stati tanti. Né che Voeller è una brava persona ma non è mai stato un grande allenatore. Insomma, non si può dire che l’«Impero» rischia di venire travolto non solo e non tanto dai «barbari», ma anche da quel «male oscuro» che fa parte del proprio Dna, che è la sua forza e la sua debolezza: dover essere non una squadra di calcio, ma il simbolo di una città, anzi della città. Eterna, per di più. E dunque un’ossessione, un dover essere, un destino che nel momento in cui non si avvera diviene una maledizione. E che in ogni caso produce una pressione ambientale terribile, insopportabile, e un parossismo in campo e fuori che tutto il mondo inizia davvero a non poter più sopportare (le sentenze della Uefa lo diranno chiaramente).
Modesta proposta: e se la Roma tornasse a essere solo una squadra di calcio? Se i canali tv e i giornali monotematici spegnessero la luce? Se non fosse più una religione o una fede e neanche una monocultura? Se fosse solo, per i suoi tifosi, una bella passione, una parte della vita, un interesse della domenica e del mercoledì, un articolo al giorno e forse due letti durante il cappuccino e non un film che dura sette giorni su sette, ventiquattro ore su ventiquattro, sogni (in giallorosso) inclusi? Non sarebbe possibile così un approccio più sereno alle vittorie e alle sconfitte che attendono, inevitabilmente, la Roma?
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